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martedì 3 aprile 2012

L'INTERVENTO DI RYERSON SULLA SITUAZIONE MONDIALE DELLA POPOLAZIONE (2005)


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La questione della popolazione globale e il lavoro del Population Media Center

Intervento al Convegno sulla Sovrappopolazione del Gruppo Consiliare Radicale alla Regione Piemonte in Italia
 
Torino,15 Gennaio 2005

Di William N. Ryerson (presidente del Population Media Center)
Sito Web: 
www.populationmedia.org

La situazione della popolazione 
I mezzi di informazione europei e statunitensi da alcuni anni continuano a parlare di una “carenza di nascite”[1] e della possibilità che si arrivi ad un calo della popolazione entro un arco di tempo compreso tra i 50 e 200 anni. Questi articoli non colgono l’aspetto più vistoso e immediato di ciò che sta accadendo nel mondo. Nel prossimo mezzo secolo, proiezioni demografiche prudenti mostrano che la popolazione mondiale crescerà di 3 miliardi di persone: un aumento del 50%. Questo è ora il problema più immediato e importante che si presenta all’attenzione del mondo.

Si può discutere di quale sia esattamente la “capacità di carico” del nostro pianeta, e non è certamente un qualcosa che rimanga costante: è un numero che muta con l´avanzamento della tecnologia. Comunque il prof. David Pimentel della Cornell University ha stimato la capacità a lungo termine del globo in 2 miliardi di persone e quella degli Stati Uniti in 200 milioni. Se Pimentel ha ragione, il mondo si trova in un stato di “eccesso”, che sarà seguito da uno stato di  collasso, parallelamente all’esaurimento delle risorse naturali fondamentali. L’Accademia Nazionale delle Scienze e la Royal Society di Londra hanno emesso una solenne dichiarazione congiunta per avvertire che la popolazione di tutto il mondo deve essere stabilizzata al più presto, se si vogliono evitare catastrofiche conseguenze sull’ambiente.

Gli Stati Uniti sono il terzo paese al mondo per crescita annuale della popolazione, dopo l’India e la Cina. A dispetto di un tasso di fertilità vicino a quello di sostituzione, l’immigrazione sta provocando una crescita che potrebbe portare la popolazione degli Stati Uniti a raggiungere il miliardo entro la fine di questo secolo. La crescita della popolazione statunitense è oggetto di grande preoccupazione a due livelli: globale ed interno. A livello globale la crescita del numero di residenti negli Stati Uniti, che consumano e inquinano a un tasso di circa dieci volte quello pro capite dei paesi in via di sviluppo, fa sì che gli Stati Uniti graveranno sempre più, dal punto di vista ambientale, sul resto del mondo. Incrementare il numero di tali mega-consumatori non è nell’interesse generale.
A livello interno la crescita della popolazione americana sta portando ad una perdita di spazi liberi, ad un aumento dell'inquinamento atmosferico, a una sensibile riduzione della disponibilità d’acqua , a una maggiore dipendenza da petrolio estero e ad un abbassamento della qualità della vita. Nel 1973 gli Stati Uniti dovettero importare il 38% del loro petrolio. Ora la percentuale è salita al 55. A causa della crescita della popolazione, si stima che nel 2025 gli Stati Uniti dipenderanno dall’estero per il 78% del loro fabbisogno di petrolio. Il Census Department
[2] prevede, nei prossimi 46 anni, un incremento del 50% della popolazione statunitense, che passerà così dagli attuali 290 milioni a 420 milioni nel 2050.
L’assunto che rapidi tassi di crescita demografica in qualche modo stimolino la crescita economica è stato a lungo sostenuto dagli economisti, ma è durante l´amministrazione Reagan che ha acquisito maggiore rilevanza. La tesi, sostenuta da Julian Simon, Malcolm Forbes Jr. (in un editoriale sulla rivista Forbes) e altri, è che rapidi tassi di crescita demografica incrementino i consumi e che la domanda aggiuntiva stimoli la crescita economica.
Potrebbe essere ben vero il contrario. Come spiegato da Ansley Coale della Princeton University, nei paesi del sottosviluppo c’è un rapporto di proporzionalità diretta tra tassi rapidi di incremento della popolazione e condizioni economiche declinanti. Le economie di molti paesi in via di sviluppo, ad esempio quelli dell’Africa e dell’America Latina, vengono frenate dal fatto che un’alta percentuale del reddito personale e di quello nazionale venga spesa per rispondere a necessità di consumo immediate, per cibo, alloggio e vestiti  - ci sono, infatti, troppi bambini per ogni lavoratore adulto. Così rimane poco reddito disponibile, a livello personale e nazionale, per accumulare capitale da investire. La mancanza di capitali d’investimento deprime la crescita di produttività dell’industria e porta ad un’alta disoccupazione (che è esacerbata dalla rapida crescita del numero di persone in cerca di prima occupazione). La mancanza di capitale contribuisce anche all’incapacità, da parte di un paese, di investire in educazione, amministrazione, infrastrutture, nelle necessità ambientali e in altri settori che potrebbero contribuire al miglioramento della produttività a lungo termine dell’economia e degli standard di vita della gente.

Nessun paese, nel ventesimo secolo, ha fatto molti progressi nella transizione da “in via di sviluppo” a “sviluppato”, fino a che non ha messo sotto controllo la crescita della sua popolazione. Per esempio, in Giappone, Corea, Taiwan, Hong Kong, Singapore, nelle Bahamas e nelle Barbados, un rapido sviluppo economico, misurato in prodotto nazionale lordo pro capite, è avvenuto solo dopo che ognuno di questi paesi aveva raggiunto un tasso di crescita naturale della sua popolazione al di sotto dell’1,5% l´anno e un numero medio di figli per donna di 2,3 al massimo. Herman Daly, ex Senior Economist della Banca Mondiale, ritiene che criteri simili potrebbero valere anche per altri paesi. Detto in parole semplici, se quanto affermano Simon e Forbes fosse vero, i paesi a bassa crescita demografica dell’Europa e del Nord America dovrebbero avere economie deboli, mentre le economie dell’Africa sub-sahariana e degli altri paesi dell’Asia e dell’America Latina, caratterizzati da una crescita impetuosa, dovrebbero essere robuste. La Cina è un buon esempio dei giorni nostri di come un cambiamento demografico nella direzione di una riduzione della fertilità possa stimolare il settore manifatturiero e potenziare la crescita economica.

La vera misura della ricchezza economica non è né il prodotto nazionale lordo né il reddito nazionale, ma il reddito medio su base pro capite. Stimolare il prodotto nazionale lordo facendo in modo che ci sia sempre più gente che compra sempre meno, non accresce il benessere economico. È possibile che qualcuno tragga vantaggio dalla crescita della popolazione, ma non la grande maggioranza delle persone.
Secondo un ampio rapporto dell’autore americano Bruce Sundquist, i paesi in via di sviluppo avrebbero attualmente bisogno di circa mille miliardi di dollari per la realizzazione di nuove infrastrutture solamente per far fronte all'incremento della loro popolazione - una cifra molto lontana dall’essere raggiunta e che effettivamente non è alla portata di questi paesi. Questo spiega perché gli aiuti umanitari del mondo sviluppato e i prestiti ai paesi in via di sviluppo, del valore di 56 miliardi di dollari all’anno, non sono stati sufficienti a migliorare le loro infrastrutture e spiega perché il mondo in via di sviluppo venga schiacciato dai fabbisogni di una popolazione aggiuntiva di 9,5 milioni di persone ogni sei settimane, equivalente a quella della contea di Los Angeles.

Esiste una stretta correlazione tra debito estero dei paesi in via di sviluppo e tasso di crescita della popolazione. Dei 41 paesi che la Banca Mondiale definisce “paesi poveri pesantemente indebitati”, 39 ricadono nella categoria dei paesi ad alta fertilità, nei quali le donne, in media, hanno 4 o più figli ciascuna. Allo stesso modo, si prevede che i 48 paesi identificati dall’ONU come “i meno sviluppati” triplicheranno la loro popolazione entro il 2050. Nel suo insieme, il mondo in via di sviluppo paga con fatica 270 miliardi di dollari all’anno, a fronte di un debito estero di 2.500 miliardi - un debito che cresce di altri mille miliardi di dollari ogni dieci anni.

Molti articoli sulla cosiddetta “carenza di nascite” evitano di porsi la domanda se l’ecosistema mondiale sia in grado di sostenere 9 miliardi di persone. Molti non sono consapevoli del fatto che la crescita della popolazione mondiale continua ad un tasso globale di 76 milioni di persone l´anno. Non si rendono inoltre conto dell’impatto che una tale crescita ha sull’ambiente globale, ivi comprese le minacce alle riserve ittiche oceaniche, alle aree selvagge, alla biodiversità, alla disponibilità di energia, a quella di acqua dolce, e alle foreste; tutto questo unito alla povertà, alla cattiva salute e alla sofferenza umana, che derivano da gravidanze non pianificate. La crescita della popolazione ha anche effetti disastrosi in termini di erosione del suolo, aumento delle inondazioni, eccessivo sfruttamento dei pascoli, salinizzazione dei suoli causata dall’irrigazione, esaurimento delle falde acquifere sotterranee (usate per l’irrigazione), distruzione delle barriere coralline, depositi fangosi nelle acque a monte delle dighe ed estinzione delle specie. Oltre a questo, molte zone di pesca del mondo sono sotto minaccia di collasso - in larga parte perché, come Sundquist evidenzia nel suo rapporto, le flotte pescherecce di tutto il mondo hanno una capacità di pesca pari al doppio della quantità che le riserve naturali del pianeta possono sostenere.
La mancanza di capitale causata dalla crescita della popolazione rende sempre più difficile, per i paesi in via di sviluppo, far fronte al crescente fabbisogno di scuole. Una delle ragioni principali delle pessimistiche previsioni negli ambienti dei servizi segreti sulla crescita del terrorismo in Medio Oriente, è il debole sistema educativo esistente nella regione - un "costo capitale" legato alla crescita della popolazione. Questo produce generazioni che difettano di competenze, tecniche e atte alla risoluzione dei problemi, che sono necessarie per ottenere una crescita economica.
In aggiunta a tutto questo, nota Sundquist, nei paesi in via di sviluppo massicce migrazioni dalla campagna alla città vanno rendendo la situazione dei grandi centri urbani sempre più disperata, con quartieri poveri che si espandono, privi di condizioni igienico-sanitarie di base e senza acqua. È probabile che queste migrazioni aumentino fortemente negli anni a venire. Man mano che i sistemi fondati sull’agricoltura si trasformeranno in sistemi ad alta intensità di capitale, enormi quantità di persone che vivono nelle aree rurali diventeranno disoccupate. Dati i maggiori tassi di crescita della popolazione nelle aree rurali, 
le proiezioni relative alle migrazioni dalle campagne alla città nei prossimi 30 anni sono impressionanti. In questo lasso di tempo ben quattro miliardi di persone potrebbero abbandonare le aree rurali dei paesi in via di sviluppo e unirsi al miliardo che già vive nei quartieri poveri delle città oppure emigrare verso i paesi sviluppati. Questo è un modo efficace per generare instabilità politica, sociale ed economica in tutto il mondo! 
I dati provenienti da indagini demografiche effettuate in tutto il mondo evidenziano che il non-uso della pianificazione familiare NON è primariamente dovuto a mancanza di accesso a servizi di contraccezione. Piuttosto, le principali ragioni che la gente adduce per motivare il mancato uso della pianificazione familiare sono il desiderio di avere più figli, la paura per gli effetti secondari dei contraccettivi, l’opposizione, reale o percepita, dei maschi, le proibizioni religiose e la convinzione che non si abbia il diritto morale di determinare il numero dei figli e l’intervallo tra le gravidanze.
Questi problemi culturali e di informazione possono essere affrontati soltanto attraverso strategie comunicative tali da far cambiare le norme sociali, strategie come quelle portate avanti dal Population Media Center (PMC).

I costi in sofferenza umana che derivano da gravidanze non pianificate ed eccessive sono impressionanti:

- 600.000 donne e ragazze in tutto il mondo muoiono ogni anno di gravidanza e di parto - un numero pari alla somma delle perdite umane degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale, nella seconda guerra mondiale,  nella guerra di Corea e in quella del Vietnam. La maggior parte di queste donne sono adolescenti o ventenni, forzate dalle loro società ad avere figli in giovane età e con una frequenza di gran lunga eccessiva.
- 140.000 donne muoiono ogni anno di emorragia durante il parto. È tragico che molte di loro muoiano pur essendo vicine a strutture sanitarie, perché i loro parenti non permettono loro di essere curate da medici di sesso maschile.
- 75.000 donne muoiono ogni anno nel tentativo di interrompere le loro gravidanze. Le Nazioni Unite stimano che, in tutto il mondo, 50.000 donne e ragazze (vale a dire 18,3 milioni l´anno) tentano ogni giorno di abortire da sole. Molte di quelle che sopravvivono soffrono poi di dolori disabilitanti per tutta la vita.
- Approssimativamente 100.000 donne muoiono ogni anno di infezione e altre 40.000 muoiono nell’agonia di doglie prolungate. E questi sono solo i casi di morte. Le statistiche dell’UNICEF mostrano che per ogni donna che muore, 30 sopravvivono con orribili lesioni e disabilità. In tutto sono 17 milioni di donne ogni anno.
A tutto ciò si aggiunga il peso devastante di gravidanze e parti ripetuti e si avrà un quadro globale della sofferenza femminile, che impone una risposta globale.
Ciò che suscita maggiore indignazione è che queste morti e queste tragiche lesioni sarebbero quasi interamente prevenibili. Eppure, il mondo sviluppato nel suo insieme non è riuscito neppure ad avvicinarsi al mantenimento degli impegni presi alla Conferenza del Cairo relativamente all’assistenza alla popolazione. Il mondo in via di sviluppo è così affamato di capitali, a causa dell’alto tasso di crescita della sua popolazione, che è spesso estremamente difficile destinare una qualche frazione dei bilanci governativi alla cura della salute riproduttiva. Sia i paesi sviluppati sia quelli in via di sviluppo dovrebbero triplicare i loro contributi per avvicinarsi a quanto si sono impegnati a fare al Cairo. La vita di miliardi di persone del mondo in via di sviluppo viene resa sempre più disperata dalla loro esclusione dall’accesso a informazioni e servizi di pianificazione familiare, che pure vorrebbero e dei quali avrebbero estremo bisogno. 
Un’analisi costi-benefici di diverse strategie utilizzate per affrontare la crescita della popolazione, effettuata da Sundquist, mostra che la strategia più efficace e più umana è quella che consiste nel fornire informazione, motivazione e servizi medici di pianificazione familiare in grado di  prevenire quest’orrendo tributo di sofferenza  umana e contemporaneamente di fare  uno “sconto  demografico” sulla richiesta di infrastrutture a governi che stentano ad adeguarsi  alle necessità di popolazioni in crescita.
È proprio nel campo dell’informazione e della motivazione che si verifica la maggiore carenza a livello globale.  E, appunto, le strategie comunicative dirette a far cambiare i comportamenti, usate dal Population Media Center, hanno dimostrato di essere di gran lunga il mezzo più efficace, considerando il rapporto costi-benefici, per ridurre le nascite. Allo stesso tempo, queste strategie consentono di estendere la libertà di scelta e i diritti delle donne e delle ragazze, molto al di là del loro attuale destino di precoci e ripetute gravidanze.
Il soddisfacimento dell’intero fabbisogno d´informazione e servizi di pianificazione familiare, ad un costo di soli 15,2 miliardi di dollari l’anno, esteso per molti decenni, potrebbe far maturare un beneficio a lungo termine, per il mondo in via di sviluppo, di oltre mille miliardi di dollari l’anno, attraverso la riduzione della  necessità di nuove infrastrutture.
Il Population Media Center si serve di sceneggiati a puntate a carattere ricreativo/educativo, diretti ad aiutare le persone a capire l’importanza di una paternità e maternità responsabile, dei diritti delle donne, dell’educazione delle ragazze e della comunicazione tra marito e moglie riguardo al futuro della loro famiglia. I fondatori del Population Media Center sono stati leader per decenni nel campo della demografia e hanno creato un genere molto efficace di serial di intrattenimento educativo. Il PMC sta mettendo in pratica, in sette paesi, progetti a lungo termine di soap opera dirette a cambiamenti comportamentali, e sta lavorando a nuovi progetti in altri otto paesi. 

(Dal sito: www.rientrodolce.org)

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