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lunedì 15 luglio 2013

LA DERIVA AUTORITARIA DELLE MASSE



Huntington nel suo testo "Lo scontro delle civiltà" denunciava la situazione difficile della democrazia, relegata agli stati occidentali e circondata da stati molto popolosi (in continua crescita demografica) con governi ed istituzioni autoritarie. Le prospettive rosee con cui guardiamo la democrazia noi europei valgono solo per l'Europa e il Nord America, e appena si esce fuori da quell'area la democrazia non appare più tanto salda per il futuro. Basta vedere quel che succede, per inciso, al giorno d'oggi sull'altra sponda del Mediterraneo. Il cambiamento degli equilibri demografici con la forte crescita di aree a scarsa o nessuna democrazia, insieme al declino economico delle aree tradizionalmente ricche come Europa e Stati Uniti a vantaggio di nuove potenze emergenti in Asia e Africa, aprono prospettive oscure per il futuro della democrazia e dei governi liberali. Assumono sempre più rilevanza potenze teocratiche come quelle islamiche o stati-massa autoritari   come l'India e la Cina, o dittature coperte da sistemi pseudo-democratici come in sud America e in Russia. Anche dove resiste la democrazia, come in Giappone, la cultura si va radicalmente modificando in senso autoritario.
Il filosofo Eric Hoffer, nel suo libro "Il vero credente. Sulla natura del fanatismo di massa" (Castelvecchi 2013), analizza i motivi che spingono masse crescenti di cittadini ad arruolarsi nei ranghi del fanatismo. E' poprio nel periodo della crisi delle ideologie che la cultura, sulla spinta della popolazione composta da grandi numeri e da fenomeni nuovi di massa come l'immigrazione e la diffusione di visioni religiose e laiche autoritarie, è sottoposta a pressioni verso l'uniformizzazione delle  idee e dei comportamenti. Hoffer individua un tratto caratteristico della deriva autoritaria: " I movimenti di massa non si limitano a dipingere il presente come qualcosa di miserabile e di meschino, ma s'adoperano per renderlo tale: foggiano  un modello di vita individuale austero, duro, noioso e repressivo; condannano piaceri e comodità e decantano il rigore dell'esistenza; considerano futile o perfino disonorevole il comune diletto e ritraggono la felicità personale come un atto immorale". Da Lenin a Hitler, da Castro e Guevara a Khomeini, dalla rivoluzione culturale maoista alla "decrescita felice" di Serge Latouche, il fanatismo di massa si fonda sul sacrificio e sull'idea che "il presente sia il preludio abietto d'un futuro glorioso, ovvero uno zerbino sulla soglia di un'età dell'oro".
Che questi problemi non ci riguardino è un errore di sottovalutazione della fragilità della democrazia e della leggerezza della libertà (che può essere spazzata via d'improvviso, ma anche pian piano con una lenta infiltrazione di idee totalitarie passate spesso come "comune sentire" o "politicamente corretto"). Sulla Stampa di sabato 13 luglio c'è un articolo del costituzionalista Zagrebelsky che pone in dubbio, anche da parte laica come lui si professa, il diritto all'aborto nel nostro paese, prendendo spunto dal fatto della recente introduzione dell'aborto legalizzato in Irlanda, ma solo quando è in grave pericolo la salute della donna. Il Professore nega che per l'aborto si possa parlare   di un diritto "incondizionato" legato solo alla volontà della donna, come è attualmente (e indebitamente, lascia intendere Zagrebelsky) da noi. "Bisogna inoltre considerare i cambiamenti della morale dovuti alla presenza di tante culture diverse" cioè il  multiculturalismo legato alla presenza di nuove popolazioni di immigrati spesso di religione integralista come l'islam o l'induismo. E' anche così che la libertà viene posta in pericolo, quando le tradizioni di laicità e democrazia di un paese vengono sacrificate al pensiero unico autoritario delle masse vecchie e nuove.

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