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sabato 22 agosto 2015

Stephen Emmott: 10 miliardi




Volete sapere come la penso?  Penso che siamo fottuti “. A parlare così non è uno qualunque. E’ Stephen Emmott uno scienziato titolare della cattedra di Scienze Computazionali a Cambridge, esperto di scienze naturali e modelli di sistemi biologici complessi. Nel 2013 è uscito il suo libro: “10 miliardi “ in cui denuncia la minaccia che sta distruggendo la Terra ma di cui nessuno parla: l’esplosione demografica della specie Homo. Emmott è pessimista, anche perché nessuno si preoccupa seriamente del problema, le poche iniziative delle organizzazioni internazionali sono fallite, e ormai la situazione è troppo degradata per sperare che si riesca a salvare il pianeta. Ma non si può bollare semplicemente come catastrofista, Emmott infatti parla con i dati scientifici che possediamo, con i numeri che la situazione attuale ci pone di fronte. Anzi, proprio per evitare l’accusa di catastrofismo, si attiene alla visione in parte ottimistica dei dati dell’Onu sui tassi di fertilità: la previsione dei dieci miliardi per questo secolo si basa su tassi di fertilità che gli esperti Onu sperano si possano ottenere nei prossimi decenni. Essi sono inferiori agli attuali  che se rimanessero tali vedrebbero la popolazione mondiale schizzare a 28 miliardi, un dato che equivarrebbe alla fine della vita sul pianeta Terra.  Il suo è un grido di angoscia che vuole svegliare questa umanità cieca e sorda che sta divorando la Terra senza mostrare un minimo barlume di comprensione del problema. Davanti ai nostri occhi si consuma la fine della biosfera senza che  nessuno intervenga per fare le cose necessarie. Al contrario in tutti i media e in tutte le parti politiche (compresi i falsi ecologisti!)  prevale la retorica del “fare figli è bello” e che “oddio ci stiamo spopolando”. Una suprema stupidità per una fine, a questo punto, giusta e meritata.  Riporto di seguito un breve sunto del libro.

“ Noi umani siamo emersi come specie circa 200.000 anni fa. Per i tempi geologici, ciò è davvero incredibilmente recente.
 Solo 10.000 anni fa, c'erano un milione di noi. Nel 1800, solo poco più di 200 anni fa, eravamo 1 miliardo. Nel 1960, 50 anni fa, eravamo 3 miliardi. Ora siamo più di 7 miliardi. Nel 2050, i vostri figli, o i figli dei vostri figli, vivranno su un pianeta con almeno 9 miliardi di altre persone. A un certo punto verso la fine del secolo, ci saranno almeno 10 miliardi di esseri umani. Probabilmente di più. Siamo giunti dove ci troviamo ora attraverso diverse civiltà – e società – che hanno “dato forma” agli eventi, tra le più importanti: la rivoluzione agricola, la rivoluzione scientifica, la rivoluzione industriale e – in Occidente – la rivoluzione dell'assistenza sanitaria pubblica. Nel 1980, c'erano 4 miliardi di noi sul pianeta. Solo 10 anni dopo, eravamo 5 miliardi. Da questo punto si sono cominciate a vedere le conseguenze della nostra crescita. Non ultima  quella sull'acqua. Il nostro fabbisogno d'acqua – non solo l'acqua che beviamo, ma l'acqua di cui abbiamo bisogno per la produzione di cibo e per fare tutte le cose che stiamo consumando – sta andando alle stelle. Ma all'acqua sta cominciando ad accadere qualcosa. Nel 1984, i giornalisti hanno scritto dall'Etiopia di una carestia di proporzioni bibliche causata da siccità diffuse. Molte aree del medio oriente e dell’Africa stanno sperimentando crisi di siccità. Siccità inusuale, e alluvioni inusuali, stanno aumentando ovunque: Australia, Asia, USA, Europa. L'acqua, una risorsa vitale che pensavamo fosse abbondante, ora è improvvisamente divenuta potenzialmente scarsa.
Prendiamo un aspetto importante, per quanto poco conosciuto, dell'aumento dell'uso di acqua: “l'acqua nascosta”. L'acqua nascosta è l'acqua usata per produrre le cose che consumiamo ma delle quale non pensiamo possano contenere acqua. Tali cose comprendono pollo, manzo, cotone, automobili, cioccolato e telefoni cellulari. Per esempio: ci vogliono circa 3000 litri d'acqua per produrre un hamburger. Nel 2012, sono stati consumati circa 5 miliardi di hamburger solo nel Regno Unito. Sono 15 trilioni di litri di acqua, in hamburger. Solo nel Regno Unito. Qualcosa come 14 miliardi di hamburger sono stati consumati negli Stati Uniti nel 2012. Sono circa 42 trilioni di litri d'acqua. Per produrre hamburger negli Stati uniti. In un anno. Per produrre un pollo ci voglio circa 9.000 litri d'acqua. Nel solo Regno Unito abbiamo consumato circa un miliardo di polli nel 2012. Per produrre un chilogrammo di cioccolato ci vogliono circa 27.000 litri d'acqua.
Un’altra conseguenza della sovrappopolazione umana e della attività antropica sono i cambiamenti climatici.
I dieci anni più caldi mai registrati sono stati dopo il 1998. Sentiamo il termine “clima” ogni giorno, quindi vale la pena pensare a cosa intendiamo veramente con esso. Ovviamente, “clima” non equivale a tempo meteorologico, Il clima è uno dei sistemi di supporto vitali della Terra, che determina se noi esseri umani possiamo o no vivere su questo pianeta. E' generato da quattro componenti: l'atmosfera (l'aria che respiriamo), l'idrosfera (l'acqua del pianeta), la criosfera (le calotte glaciali e i ghiacciai), la biosfera (le piante e gli animali del pianeta). Ormai, le nostre attività hanno iniziato a modificare ognuna di queste componenti.

La richiesta di terreno per il cibo  raddoppierà – come minimo – nel 2050 e triplicherà per la fine di questo secolo. Ciò significa che la pressione per radere al suolo (per l'uso umano) molte delle foreste pluviali che rimangono si intensificherà ad ogni decennio, perché questo è pressoché l'unico terreno disponibile rimasto per espandere l'agricoltura su scala mondiale, specialmente in certe aree. A meno che la Siberia non si scongeli prima che finiamo di deforestare. Nel 2050, è probabile che 1 miliardo di ettari di terreno saranno deforestati per soddisfare la domanda di cibo in aumento da parte di una popolazione in aumento. E' un'area più grande degli Stati Uniti. E ad accompagnare questo ci saranno 3 gigatonnellate all'anno di ulteriori emissioni di CO2.
La Siberia, liberandosi dai ghiacci, trasformerebbe la Russia in una notevole forza economica e politica in questo secolo, per via delle sue risorse minerali, agricole ed energetiche appena scoperte. Ciò sarebbe accompagnato inevitabilmente dal fatto che ampi depositi di metano – attualmente intrappolati sotto il Permafrost siberiano della tundra – vengano liberati, accelerando ulteriormente il problema climatico.
Nel frattempo, altri 3 miliardi di persone avranno bisogno di un posto in cui vivere. Nel 2050, il 70% di noi vivrà nelle città. Sotto i nostri occhi sta avvenendo una crescita esponenziale della popolazione di molte città che si trasformano in megalopoli, spesso invivibili con una qualità della vita bassa. Questo secolo vedrà la rapida espansione territoriale delle città, così come la nascita di città completamente nuove che non esistono ancora. Vale la pena di menzionare il fatto che delle 19 città brasiliane che hanno raddoppiato la loro popolazione nei decenni passati, 10 sono in Amazzonia. Tutte queste useranno più territorio.

Attualmente non abbiamo nessun mezzo conosciuto per riuscire a sfamare 10 miliardi di noi al ritmo di consumo attuale e con l'attuale sistema industriale. Infatti, solo per sfamare noi stessi nei prossimi 40 anni avremo bisogno di produrre più cibo di tutta la produzione agricola degli ultimi 10.000 anni messa insieme. Tuttavia, la produttività alimentare è sulla via del declino, probabilmente in modo netto, durante i prossimi decenni a causa di: cambiamento climatico, degrado e desertificazione del suolo – entrambi i quali stanno aumentando rapidamente in molte parti del mondo – e stress idrico. Per la fine del secolo, vaste aree del pianeta non avranno più acqua utilizzabile. Inoltre l’uso massiccio dei fertilizzanti chimici, necessari per aumentare il rendimento della terra, sta inaridendo il terreno, inquinando le acque, asfissiando la vita di fiumi, laghi, acque costiere con un generale impoverimento di ossigeno.

Allo stesso tempo, il settore delle spedizioni e quello aereo sono proiettate verso una espansione rapida  ogni anno, anno dopo anno, intorno al pianeta, trasportando più persone  e più  cose che vogliamo consumare. Questo ci causerà enormi problemi in termini di emissioni di CO2, più utilizzo di idrocarburi, e più inquinamento da estrazione e lavorazione di tutta questa roba. Ma pensate a questo. Nel trasportare noi stessi e le nostre cose per tutto il pianeta, noi stiamo creando anche una rete molto efficiente per la diffusione di malattie potenzialmente catastrofiche. C'è stata una pandemia globale solo 95 anni fa – la Spagnola, che ora si stima abbia ucciso fino a 100 milioni di persone. E questo prima che una delle nostre innovazioni più discutibili – le linee aeree low cost – fossero inventate. La combinazione di milioni di persone che viaggiano in tutto il mondo ogni giorno e di altri milioni di persone che vivono in prossimità estrema a maiali e pollame o di animali selvaggi che finora erano vissuti in aree spopolate come avviene in Africa e in Asia –   rendendo più probabile il salto di specie dei virus ( come avvenuto per l’HIV, per il virus Lebola, e per fortuna parzialmente con la SARS)– significa che stiamo aumentando, significativamente, la probabilità di una nuova pandemia globale. Quindi non c'è da stupirsi che gli epidemiologi siano sempre più d'accordo sul fatto che una nuova pandemia ora sia una questione di “quando” e non di “se”.
Per il problema dell’energia la situazione è già ora delle più difficili. Per soddisfare la domanda attesa, dovremo almeno triplicare – come minimo – la produzione di energia per la fine del secolo. Per soddisfare tale domanda, dovremo costruire, approssimativamente, qualcosa come: 1.800 delle dighe più grandi al mondo, o 23.000 centrali nucleari, 14 milioni di pale eoliche, 36 miliardi di pannelli solari o continuare prevalentemente con le riserve petrolio, carbone e gas – e costruire le 36.000 nuove centrali a idrocarburi di cui   avremo bisogno. Le nostre riserve di petrolio, carbone e gas da sole valgono trilioni di dollari. I Governi e le grandi aziende di petrolio, carbone e gas – alcune delle più influenti multinazionali della Terra – decideranno davvero di lasciare i soldi sottoterra, mentre la domanda di energia aumenta senza sosta? Ne dubito.
Nel frattempo, il problema climatico emergente si trova su una scala completamente diversa. Il problema è che potremmo essere diretti verso un certo numero di “punti di non ritorno” nel sistema climatico globale. C'è l'obbiettivo globale politicamente condiviso - guidato dal Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – di limitare l'aumento della temperatura media globale a +2°C. Il fondamento logico di questo obbiettivo è che un aumento al di sopra dei 2°C porta a rischi significativi di cambiamento climatico catastrofico che porterebbero quasi certamente a “punti di non ritorno” planetari, causati da eventi come la fusione della piattaforma di ghiaccio della Groenlandia, il rilascio dei depositi di metano ghiacciato dalla tundra artica, o il degrado dell'Amazzonia. Di fatto, i primi due stanno già avvenendo ora, al di sotto della soglia dei +2°C.
Nei decenni lungo il tragitto che stiamo seguendo , saremo testimoni di estremi eventi atmosferici senza precedenti, incendi, alluvioni, ondate di calore, perdita di raccolti e foreste, stress idrico e aumento del livello del mare con inondazione di aree costiere.
I paesi più “fortunati”, come il Regno Unito, gli Stati Uniti e gran parte dell'Europa, potrebbero divenire simili a paesi militarizzati, con pesanti controlli in difesa dei confini al fine di evitare l'ingresso di milioni di persone, persone che si stanno muovendo perché il loro paese non è più abitabile, o vi sono riserve di  acqua insufficienti per il cibo o che sta vivendo dei conflitti per le risorse sempre più scarse. Queste persone saranno “migranti climatici”. Il termine “migranti climatici” è un termine al quale ci dovremo abituare sempre di più, insieme a quello di migranti per eccesso di nascite in aree con poche risorse. Infatti, chiunque pensi che l'emergente stato globale delle cose non abbia un grande potenziale per un futuro conflitto civile e internazionale illude sé stesso. Non è una coincidenza che quasi ogni conferenza scientifica alla quale vado sul cambiamento climatico, ora abbia un nuovo tipo di partecipante: i militari. In ogni modo la guardiamo, un pianeta di 10 miliardi si presenta come un incubo. Quali sono, quindi, le nostre opzioni?
La sola soluzione che ci rimane è quella di cambiare comportamento, radicalmente e globalmente, ad ogni livello. In breve, abbiamo urgentemente bisogno di consumare meno. Molto meno. Radicalmente di meno. E dobbiamo conservare di più. Molto di più. Per ottenere un tale cambiamento radicale nel comportamento, avremmo bisogno anche di un'azione governativa radicale. Ma per quanto riguarda questo tipo di cambiamento, attualmente i politici sono parte del problema, non parte della soluzione, perché le decisioni che devono essere prese per attuare un significativo cambiamento di comportamento dei cittadini rendono inevitabilmente i politici molto impopolari e loro ne sono del tutto consapevoli.
Quindi, ciò per cui hanno invece optato i politici è una diplomazia fallimentare. Per esempio: il UNFCCC (UN Framework Convention on Climate Change), il cui lavoro è stato per 20 anni di ottenere la stabilizzazione dei gas serra nell'atmosfera: fallito. Il UNCCD (UN Convention to Combat Desertification), il cui lavoro è stato per 20 anni quello di fermare il degrado dei terreni e la desertificazione: fallito. Il CBD (Convention on Biological Diversity), il cui lavoro è stato per 20 anni quello di ridurre il ritmo di perdita della biodiversità: fallito. Questi sono solo tre esempi di iniziative globali fallite da parte del principale organismo politico internazionale. L'elenco è tristemente lungo.
E che dire degli affari? Nel 2008, un gruppo di economisti e scienziati molto rispettati guidati da Pavan Sukhdev, allora un economista anziano della Deutsche Bank, ha condotto un'autorevole analisi economica del valore della biodiversità.
Sukhdev ha poi dichiarato: “Le regole del commercio devono essere urgentemente cambiate, in maniera che  le multinazionali competano sulla base dell'innovazione, della conservazione delle risorse e la soddisfazione delle richieste delle diverse parti in causa, piuttosto che, come ora avviene, sulla base di chi è più efficace nell'influenzare le regole governative, evitando tasse e ottenendo sussidi per attività dannose per massimizzare il ritorno per gli azionisti”. Penso che ciò potrà accadere? No.
 E per quanto riguarda noi?
I cambiamenti nel comportamento che ci vengono richiesti sono così fondamentali che nessuno vuole metterli in pratica. Quali sono? Noi dobbiamo consumare meno. Molto meno. Meno cibo, meno energia, meno cose. Questo è sicuro. Ma non abbiamo ancora trovato una chiave politica che possa portarci a questo risultato. Inoltre i paesi che stanno ottenendo sviluppo attualmente non ne vogliono sapere di cambiare parametri. E quelli già sviluppati stanno cercando di aumentare il Pil anche per soddisfare le popolazioni affluenti con le migrazioni, e non ne vogliono sapere di ridurre i loro consumi.
Ma anche se fossimo in grado di ridurre di molto i consumi, tutto questo non può bastare a salvare il pianeta se continueremo con l’attuale esplosione demografica. La specie Homo con la propria crescita incontrollata sta cambiando irreversibilmente e in maniera autodistruttiva il proprio ambiente e l’ecosistema complessivo del pianeta. La peggior cosa che possiamo continuare a fare – globalmente – è quella di avere figli al ritmo attuale. Se l'attuale ritmo globale di riproduzione continua, per la fine del secolo non ci saranno 10 miliardi di esseri umani ma molti di più. Secondo le stime  delle Nazioni unite, la popolazione dello Zambia è prevista in aumento del 941% per la fine del secolo.

La popolazione della Nigeria in crescita del 349%, fono a 730 milioni di persone.
L'Afghanistan del 242%.
La Repubblica democratica del Congo del 213%.
Il Gambia del 242%.
Il Guatemala del 369%.
L'Iraq del 344%.
Il Kenya del 284%.
La Liberia del 300%.
Il Malawi del 741%.
Il Mali del 408%.
Il Niger del 766%.
La Somalia del 663%.
L'Uganda del 396%.
Lo Yemen del 299%.

Persino la popolazione degli Stati Uniti è prevista in crescita del 54% per il 2100, da 315 milioni nel 2012 a 478 milioni. Voglio solo sottolineare che se l'attuale ritmo globale di riproduzione continua, per la fine del secolo non ci saranno 10 miliardi di persone, ce ne saranno 28 miliardi.
Solo un idiota negherebbe che c'è un limite al numero di persone che la Terra può sostenere. La domanda é, sono 7 miliardi (la nostra popolazione attuale), 10 miliardi o 28 miliardi? Penso che abbiamo già superato quel limite. Di gran lunga.

La scienza è essenzialmente scetticismo organizzato. Io passo la mia vita cercare di provare che il mio lavoro sia sbagliato o a cercare spiegazioni alternative ai miei risultati. E' chiamata condizione popperiana della falsificabilità. Spero di sbagliarmi. Ma la scienza va in una direzione che dice che non mi sto sbagliando. Possiamo a ragione chiamare la situazione un'emergenza senza precedenti. Abbiamo urgentemente bisogno di fare – e intendo fare realmente – qualcosa di radicale per evitare la catastrofe globale. Ma non credo che lo faremo. Penso che siamo fottuti. Ho chiesto ad alcuni dei più razionali e brillanti scienziati che conosca – uno scienziato che lavora in questo campo, uno giovane e uno del mio laboratorio – se ci fosse stata una sola cosa che doveva fare per la situazione che abbiamo di fronte, quale sarebbe stata? Uno di loro sapete come ha replicato? “Insegnare a mio figlio come usare una pistola”

(Stephen  Emmott: Dieci Miliardi. Feltrinelli serie bianca)

venerdì 7 agosto 2015

L’Onu si ricrede: La popolazione mondiale continua a correre


(Foto: periferia di Città del Messico)

Secondo l’ultimo rapporto dei demografi dell’Onu, basato sui censimenti del 2010 della popolazione mondiale e su indagini demografiche sulla natalità nelle aree critiche, la popolazione mondiale sfiorerà i 10 miliardi nel 2050 e potrebbe raggiungere i 12 miliardi nel 2100. Le stime precedenti che indicavano il picco di popolazione nel 2050 con 9 miliardi per poi prevedere una lenta decrescita erano sbagliate e basate su un ottimismo senza fondamento.
La maggior parte della crescita demografica avverrà nelle regioni in via di sviluppo, dice il nuovo rapporto, soprattutto in Africa, che dovrebbe presentare più della metà della crescita della popolazione mondiale tra il 2015 e il 2050. L’India è destinato a diventare il paese più popoloso, superando la Cina intorno al 2022. La Nigeria potrebbe superare in popolazione gli Stati Uniti entro il 2050 divenendo il terzo paese più popoloso del mondo. Secondo John Wilmoth, direttore del Dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite, la concentrazione di crescita della popolazione nei paesi più poveri presenta una serie di sfide, rendendo più difficile sradicare la povertà e aumentando le disuguaglianze. Inoltre l’aumento previsto complicherà gli sforzi per risolvere il problema della fame, dell’accesso alle fonti idriche, dell’energia, e metterà sotto ulteriore pressione i sistemi sanitari e di istruzione. Sebbene rispetto a dieci anni fa il tasso assoluto di crescita della natalità sia sceso dal 1,24% all’  1,18 %, la distribuzione del tasso su una popolazione complessiva assai più vasta porta all’aumento netto. 
John Wilmoth avverte che le nuove proiezioni mettono a nudo la portata dell’enorme compito che si prospetta al genere umano.  La  crescita nei paesi più poveri acuirà tutti i problemi di quei paesi , e renderà più difficile attuare politiche di sviluppo sostenibile, quali la limitazione nell’uso di idrocarburi, la riduzione dei fertilizzanti e di altri inquinanti chimici, il controllo del riscaldamento climatico globale. Bisognerà rivedere tutte le politiche che presupponevano un rientro nei limiti di sostenibilità, in particolare per il settore energetico e per la produzione di beni primari. Si prevedono problemi di fame e malnutrizione e di espansione di malattie infettive. L’aumento poi del numero degli anziani sarà un problema sociale nella seconda metà del secolo se persisteranno alti tassi di natalità che assorbiranno gran parte delle risorse. Wilmoth si augura che una volta che le popolazioni cominceranno ad avere un più alto livello di aspettativa di vita, arrivino anche a rendersi conto che non c’è la stessa necessità di produrre un alto numero di bambini. “Con l’aumento della sopravvivenza infantile, non ha più senso avere quelle grandi famiglie con numerosi figli che si avevano in passato”, dice l'esperto dell'Onu.
Ma attualmente sono ancora molti i paesi in cui la donna ha in media cinque o più figli nella sua vita. Tutti tranne due  dei 21 paesi a più alta fertilità sono in Africa. I più grandi sono la Nigeria, la Repubblica democratica del Congo, la Tanzania, l’Uganda e fuori dall’Africa l’Afghanistan. C’è poi il caso dell’India dove tutte le politiche di controllo della fertilità sono fallite.  Il rapporto fa anche paventare l’ipotesi che i tassi di crescita della fertilità si discostino –anche di poco- dalle previsioni e si rivelino  più alti: basterebbe mezzo punto sopra la variante media per avere nel 2100 una popolazione mondiale di 16,6 miliardi di persone, più di cinque miliardi in più rispetto alla stima corrente. Qui gli esperti dell'Onu, solitamente calmi e ragionevolmente ottimisti, cominciano a mostrare qualche inquietudine: si tratterebbe di una catastrofe per il pianeta, forse insostenibile.
“Per realizzare riduzioni sostanziali di fertilità nelle proiezioni future, è fondamentale investire nella salute riproduttiva e la pianificazione familiare, in particolare nei paesi meno sviluppati, in modo che le donne e le coppie possano raggiungere la dimensione familiare desiderata”, dice il rapporto.
Nel 2015, l’uso di metodi contraccettivi moderni mei paesi meno sviluppati è stato stimato intorno al 34% tra le donne in età riproduttiva che erano sposate o vivevano in coppia, e un ulteriore 22% di queste donne ha espresso un desiderio di pianificazione familiare senza che potessero soddisfarlo , il che significa che non si sono servite di  alcun mezzo contraccettivo sebbene avrebbero preferito utilizzarlo per evitare o ritardare una gravidanza.
In conclusione, ancora una volta, gli esperti dell’Onu riconoscono di essersi sbagliati in passato sulle stime demografiche del pianeta, per eccessivo ottimismo su una fantomatica transizione demografica. Non è la prima volta né forse sarà l’ultima. Non si vuole riconoscere, per una sorta di resistenza ideologica, che si tratta di una vera e propria esplosione demografica della specie Homo che porterà ad una catastrofe ambientale senza precedenti. Questa volta l’ottimismo degli esperti comincia a scricchiolare seriamente. Anche nelle stime moderate dei demografi delle Nazioni Unite si prevede una popolazione di circa 12 milardi a fine secolo: cinque miliardi in più rispetto ad oggi. Se già ora vediamo sotto i nostri occhi le terrificanti conseguenze sull’ambiente del pianeta della eccessiva antropizzazione, cosa avverrà quando ci saranno ulteriori 5 miliardi di umani? I quali chiederanno cibo, energia, prodotti chimici, produzione industriale, medicine, risorse idriche, case, cemento, asfalto, automobili, viaggi aerei, possibilità di una vita migliore e quindi migrazioni, urbanizzazioni, città più vaste. Le megalopoli avranno periferie ancora più estese, in certi casi bidonville sterminate che ricopriranno la superficie cancellando ogni traccia di verde.  Si produrranno più rifiuti, più discariche, più esalazioni, più tossici, più inquinamento, più immissioni di gas serra. Già oggi –con soli sette miliardi di persone- molti esperti ci dicono che la situazione è irreversibile per il pianeta Terra. Eppure nessuno si preoccupa, se non i pochi che denunciano apertamente la sovrappopolazione. Meno di tutti si preoccupa l’Onu, che pubblica i rapporti per poi lasciarli lettera morta. Le nazioni della Terra hanno altro a cui pensare. Mentre il pianeta soffoca sotto una cappa di anidride carbonica imperversa la lotta per il controllo dei giacimenti di idrocarburi e per il loro sfruttamento sempre più massiccio, come ad esempio la metodica altamente inquinante del fracking. Nessuna fine come quella del pianeta Terra sarà stata meritata in modo così evidente per manifesta stupidità collettiva.